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Roberta Bruzzone, la bellezza e i rapporti con gli altri: “Il mio lavoro si è portato via una parte di me”

Roberta Bruzzone, la bellezza e i rapporti con gli altri: “Il mio lavoro si è portato via una parte di me”

È bella come una star dello spettacolo ma ha i modi spicci e risoluti di chi è abituata per la sua professione a frequentare ben altri ambienti. I complimenti? Scorrono sul suo ego come acqua fresca. Roberta Bruzzone, la criminologa e psicologa forense più nota d’Italia, non perde il suo fare da maschiaccio nemmeno quando le si chiede conto della sua bellezza. E ribatte tranquilla: “Non penso proprio che il mio aspetto fisico nell’attività investigativa e forense sposti di un millimetro la situazione. Anzi, mi è stato detto chiaro e tondo che dopo 10 minuti che una persona ha a che fare con me si dimentica il colore dei miei occhi o come porto i capelli. Dal punto di vista televisivo, nella comunicazione della mia professione, penso che il mio aspetto possa aver avuto la sua importanza. Ma non credo di stare in tv per il mio bel faccino. I parametri sono ben altri. Se sono quasi 20 anni che sono in tv sarà principalmente per ciò che dico”.

Autrice di libri (l’ultimo, “Delitti allo specchio”, è di qualche mese fa) e sempre molto attiva nel suo lavoro di investigazione, la Bruzzone si è concessa anche il piacere di fare un esperimento innovativo che unisce la passione per il crimine a quella per il cinema. E, all’anteprima per la stampa di “L’uomo sul treno – The Commuter”, thriller psicologico con Liam Neeson che sarà nelle sale dal 25 gennaio, ha sfidato il pubblico a improvvisarsi detective e a capire chi, tra i tanti sospettati, si celasse dietro le fila di una storia incredibile e hitchickochiana. Ma la serata è stata anche l’occasione per conoscere più da vicino questa professionista del crimine che si è occupata di tanti efferati casi di cronaca nera, dalla strage di Erba agli abusi nella scuola materna di Rignano Flaminio e al delitto di Avetrana: “Quella per il crimine è una passione nazionale ci accompagna da sempre. Si tratta di una fascinazione collettiva che porta all’identificazione nella vittima ma anche nel carnefice”.

Questo lavoro ha portato via una parte di me

Roberta Bruzzone, però, non nega che questo lavoro così duro abbia avuto delle conseguenze nella sua vita privata: “Un mestiere come il mio, in cui ci si occupa del nostro aspetto più oscuro e violento, non ti aiuta di certo a credere nel genere umano. Tra l’altro, la mia esperienza professionale, mi ha insegnato che le persone più vicine a noi sono anche le più pericolose. Questo presupposto mi accompagna e condiziona. Ecco perché difficilmente do spazi a nuovi rapporti interpersonali. Ho qualche amico ma faccio molta fatica a fidarmi delle persone. Di sicuro questo lavoro mi ha portato via una parte di me”.

 

Fonte: spettacoli.tiscali.it