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Macchi, Bruzzone: “Ricerche nel Parco dopo 20 anni? O indicazioni precise o è caccia al tesoro”

Intervista del 15 febbraio 2016

Macchi, Bruzzone: “Ricerche nel Parco dopo 20 anni? O indicazioni precise o è caccia al tesoro”

“Per trovare quel sacchetto venti anni dopo il delitto e in un’area boschiva, o si hanno indicazioni precise sul punto dove si trova oppure si rischia una caccia al tesoro dagli esiti scarsi”. Così Roberta Bruzzone, criminologa, commenta le novità che venti anni dopo riaprono il caso di Lidia Macchi, la studentessa uccisa nel 1987 a Varese. E nell’intervista a Intelligonews non nasconde perplessità dal punto di vista tecnico-operativo.

Sul piano della criminologia ha senso sequestrare un parco a caccia di un reperto venti anni dopo il delitto?

«L’unica cosa che in un contesto del genere può avere senso è che gli investigatori abbiano informazioni abbastanza precise e circostanziate sul punto dove potrebbe trovarsi il reperto. Diversamente, un sopralluogo a scatola chiusa a oltre vent’anni dal delitto mi pare come andare a cercare l’ago in un pagliaio, nel senso che è difficile andare a recuperare informazioni di questo genere; anche perché laddove venisse trovato il sacchetto di cui si parla, magari per un incredibile colpo di fortuna e in assenza di indicazioni circostanziate sul punto dove eventualmente si trova, rispetto a un arco temporale così ampio, è possibile che possa raccontare ben poco di quel delitto».

Quanto può mantenersi integro un reperto nel tempo e in una zona all’aperto come un parco, ovvero esposta agli agenti atmosferici e alla presenza di persone che possono modificare la scena del crimine?

«Se consideriamo che in quel parco ha piovuto, nevicato, ci sono passate persone, francamente la possibilità di trovare informazioni utili mi sembra molto scarsa e comunque, in generale anche il ritrovamento di un reperto non necessariamente comporterebbe una sua utilizzabilità. Poi bisogna vedere come è stato conservato: ad esempio se fosse un sacchetto di carta è inutile cercare, se fosse un sacchetto di plastica ha sicuramente una durata più lunga ma occorre verificare come è stato confermato, se è stato sepolto, a quanti metri, e in quali condizioni e secondo quali modalità di conservazione. Tuttavia, se si parla di un sacchetto di plastica, immagino che ci sia una fonte investigativa sufficientemente precisa, perché, altrimenti, mettere sotto sequestro un’area boschiva in assenza di informazioni precise, sarebbe una caccia al tesoro con scarsa possibilità di esito positivo».

Lei che idea si è fatta di questo delitto e se fosse al posto degli investigatori che strada seguirebbe?

«L’idea che mi sono fatta è quella di un delitto commesso da qualcuno che la vittima conosceva e del quale si fidava in maniera sufficiente. Non è la prima volta che mi trovo a parlare del delitto Macchi e la pista del conoscente, amico o aspirante fidanzato la considero interessante e probabilmente corretta. Tuttavia, ritenere che chi ha scritto la lettera sequestrata sia l’autore del delitto, mi lascia perplessa, anche perché ho avuto modo di leggerla e penso che vi siano più chiavi di lettura altrettanto plausibili. Mi auguro che la procura abbia in mano qualcos’altro perché basare la misura cautelare e la valutazione tecnica sulla lettera mi pare un elemento non in grado di reggere anche in fase di grado di giudizio. Vedremo la Cassazione come si pronuncerà».