Cerca
Close this search box.

Cucchi, Bruzzone: “Con l’omicidio preterintenzionale i tre carabinieri rischiano non poco”

Intervista del 17 gennaio 2017

Cucchi, Bruzzone: “Con l’omicidio preterintenzionale i tre carabinieri rischiano non poco”

Il caso Cucchi si riapre. Secondo alcuni in maniera prevedibile, secondo altri a sorpresa. Oltre 7 anni dopo la morte di Stefano Cucchi in un letto del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini di Roma (era il 22 ottobre 2009), il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò chiudono la cosiddetta inchiesta bis (aperta nel novembre del 2014) sui responsabili del suo pestaggio e con l’atto di conclusione indagini contestnoa a tre dei carabinieri che lo arrestarono nel parco degli acquedotti di Roma il reato di omicidio preterintenzionale. I carabinieri cui viene ora contestato l’omicidio erano stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate, ma ora cambia la posizione e soprattutto cade il rischio incombente della prescrizione. Inizia, dunque, una nuova fase del caso. IntelligoNews ha chiesto alla criminologa Roberta Bruzzone un commento a caldo, così da spiegare ai lettori cosa è cambiato rispetto al recente passato e quanti anni rischiano gli indagati…
 Il reato di omicidio preterintenzionale al posto delle lesioni personali aggravate. I giornali titolano “accusati di omicidio tre carabinieri”, ma cosa cambia rispetto alla precedente richiesta? Come si passa dalle lesioni personali aggravate al preterintenzionale?
“Cambiano innanzitutto gli anni di carcere. Ragionando astrattamente si passa dal ‘ti abbiamo picchiato in qualche modo non riconducibile all’attività di servizio’ a un qualcosa di decisamente più grave. Se una persona viene arrestata e oppone resistenza all’arresto, è chiaramente possibile che gli agenti usino una certa dose di violenza, ma solo quella diciamo così autorizzata dall’espletamento del servizio. In questo senso le lesioni personali aggravate già presupponevano un aggravamento della violenza utilizzata per il servizio. L’omicidio preterintenzionale va decisamente oltre la prima ipotesi accusatoria, perché addirittura non vi era soltanto un presunto pestaggio, ma addirittura il mettere in campo tutta una serie di azioni che in qualche modo hanno cagionato la morte di questo soggetto. Si ipotizza un nesso casuale tra le percosse e l’omicidio. Cambia cioè completamente lo scenario”.
 Questa richiesta può anche essere stata fatta per evitare lo spettro della prescrizione? Era un qualcosa di possibile?
“A livello di anni sì, è possibile questa chiave di lettura. Ma mi rifiuto di pensare che possa essere solo questo, la Procura non si inventa mica campi di imputazione per rispondere a problematiche di prescrizione. Visto che si tratta di due magistrati molto seri, sicuramente avranno ritenuto di poter contestare questo, ma non esclusivamente per un calcolo temporale”.
 Che idea si è fatta più in generale del caso?
“La vicenda la seguo dal punto di vista mediatico, ho avuto modo di vedere la documentazione medica ed effettivamente quello che è successo a questo ragazzo nei giorni immediatamente precedenti al messaggio credo sia veramente deprecabile e configura una serie di complicità o di responsabilità. Indubbiamente se come ritiene la Procura questo pestaggio c’è stato ed è avvenuto quando il ragazzo era già in condizioni assolutamente precarie, non si può fare finta di niente. Che Cucchi non sia morto esclusivamente per una serie di complicanze mediche dovute anche al fatto del rifiuto del cibo e di idratarsi nei giorni precedenti la morte, era abbastanza ipotizzabile. Poi è chiaro, ci sono stati dei pronunciamenti medico legali così discrepanti che era anche difficile farsi un’idea dal punto di vista tecnico”.
 Era difficile che il caso si chiudesse così?
“Che una vicenda di questo tipo si chiudesse con un nulla di fatto mi sembrava molto improbabile”.
 Cosa rischiano i carabinieri? Sarebbe un precedente importante, ma c’è anche chi punta il dito contro una politicizzazione della vicenda.
“Rischiano non poco perché l’accusa non è banale. Molto dipenderà dalla scelta del rito, sempre che verrà formulata la richiesta di rinvio a giudizio. Loro hanno 20 giorni per produrre memorie e fare una serie di attività difensiva al termine dei quali la Procura deciderà se archiviare oppure procedere con la richiesta di rinvio a giudizio. Questa seconda strada mi sembra la più probabile, a quel punto vedremo la scelta del rito. Un rito abbreviato comunque porterebbe in caso di condanna a cinque, sei anni. Come se avessero investito una persona con l’aggravante di non averla soccorsa, la pena più o meno è quella”.