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NON ESISTONO I RAPTUS ?

NON ESISTONO I RAPTUS ?

Roberta Bruzzone – psicologa forense e criminologa perfezionata in Psicologia, Psicopatologia Forense e Scienze Forensi – oltre ad essere un noto personaggio televisivo, è docente universitaria e presso gli Istituti di Formazione della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri. Negli Stati Uniti ha conseguito la qualifica di “esperta di ricerca e repertamento tracce sulla scena del crimine” ed è esperta nelle tecniche di analisi, valutazione e diagnosi di abuso nei confronti dei minori e nell’ambito della violenza sulle donne. È consulente tecnico forense di Telefono Rosa e in procedimenti penali, civili e minorili. Nel suo ultimo libro “Il lato oscuro dei social media” indica una serie di consigli utili per “sopravvivere in una giungla popolata da varie tipologie di nuovi predatori.”

Essere criminologa le ha cambiato la vita?
“Faccio un lavoro che ho scelto. È stata una scelta di vita, frutto di un percorso – sia di studio che di esperienze – durato molti anni.”

Si uccide. Per la sua esperienza di criminologa si può parlare di “raptus”?
“Non esistono i “raptus”. L’omicidio non è l’esito di un’azione che nasce nel buio dell’inconsapevolezza ma è un atto volontario e la maggior parte degli omicidi è pianificata in maniera deliberata e lucida. Il “raptus” è un concetto che non ha nessun tipo di riscontro oggettivo, piuttosto è un’invenzione giuridica per cercare di ridurre le responsabilità. I principali moventi degli ultimi anni sono molto labili e principalmente alla base c’è l’invidia, anche per questioni apparentemente banali. Infatti sono in aumento vertiginoso gli omicidi commessi per futili motivi.”

Il suo lavoro l’ha portata a non avere fiducia nel prossimo?
“Sono vent’anni che mi occupo di delitti e di crimini violenti e nella maggior parte dei casi l’assassino – o l’assassina – erano persone molto vicine alla vittima. Chiaramente fare questo tipo di lavoro non favorisce una fiducia incondizionata nel prossimo, perché so perfettamente quello che la nostra specie è in grado di fare ai propri simili e mi confronto con la vera natura umana che spesso si nasconde dietro un’apparenza di normalità. Tutto ciò invita ad una certa cautela ma sono contenta che questo lavoro mi abbia insegnato a fidarmi di pochissime persone.”

La televisione presenta quotidianamente casi di cronaca nera, in diverse trasmissioni e fasce orarie. Sembra quasi che – insieme ai programmi di approfondimento culturale e politico – la cronaca nera sia una delle poche risorse ancora interessanti. Lei come spiega questo fenomeno?
“Non è una questione di quest’epoca, da sempre la cronaca nera desta grandissima attenzione nell’opinione pubblica. Se si pensa ai delitti di “Jack lo squartatore” nella Londra vittoriana di fine ‘800, ci si rende conto che l’interesse per questo tipo di atti terribili, crudeli, violenti è sempre stato molto alto e le vendite dei giornali che seguivano i suoi delitti erano aumentate in maniera vertiginosa; all’epoca c’erano strumenti di comunicazione più ridotti, oggi siamo letteralmente inseguiti dalle notizie e la responsabilità del fruitore è quella di distinguere tra la buona informazione, purtroppo piuttosto rara, e la cattiva informazione o addirittura la disinformazione che invece è dilagante.”

Una tematica a cui si sta dando ampio spazio è quella della violenza contro le donne. Quali sono i segnali per capire che una storia d’amore è sbagliata e qual è la modalità e la tempistica per uscirne?
“Gli indicatori più affidabili per comprendere una relazione disfunzionale sono prevalentemente focalizzati sul controllo e sulla sorveglianza da parte del partner nei confronti della futura vittima. Sono storie in cui c’è una fortissima asimmetria di potere all’interno della coppia e dove un partner è sottomesso all’altro subendone le decisioni, con un ridimensionamento della propria vita sociale e lavorativa. Sono sempre presenti comportamenti di controllo: del cellulare, della posta elettronica, dei social media; segnali d’allarme molto chiari e attendibili per stabilire una possibile escalation. Quindi gli indicatori per comprendere una storia sbagliata sono evidenti, ma purtroppo molte donne che vivono situazioni di questo tipo non dispongono di strumenti emotivi e psicologici per uscirne perché hanno dei tratti di personalità dipendente; ci sono donne che non usciranno mai da questo tipo di vicende perché continuano a cercare il loro carnefice arrivando, in modo perverso, a collaborare con lo stesso in un processo autodistruttivo. Non tutte le donne possono essere salvate e paradossalmente quelle che muoiono di più sono quelle che cercano di uscirne. Quindi la tempistica per sottrarsi ad una storia sbagliata è soggettiva, ognuno stabilisce qual è il limite oltre il quale non si può andare. Il grosso problema è che molte donne questo limite non ce l’hanno chiaro.”

Quali sono – secondo lei – i “mali peggiori” dell’essere “social” in Italia nel 2017?
“I social media hanno tanti aspetti positivi ma, come tutti gli strumenti creati dal genere umano, hanno anche un lato oscuro. Il principale rischio è quello di offrire troppi elementi su di sé, troppe informazioni sulla vita personale e contenuti privati ad un pubblico assolutamente vasto, all’interno del quale ci potrebbero essere persone che useranno tali contenuti contro chi li ha “postati”. Ci sono due comandamenti che devono sempre essere tenuti presenti quando si utilizzano i social media in tutte le loro possibili manifestazioni: la rete non perdona e non dimentica, ed ogni tipo di contenuto può essere strumentalizzato in chiave negativa. Inoltre si deve essere consapevoli che i social media non sono l’estensione del salotto di casa o della propria camera da letto, ragion per cui i contenuti diffusi e resi disponibili riguardanti la sfera intima e privata – non solo quella sessuale ma anche di orientamento politico e religioso – potrebbero istigare violenza ai danni del soggetto che li ha condivisi. Quello che manca è una sufficiente consapevolezza del rischio che porta la condivisione scellerata e troppo generosa degli aspetti della vita personale.”

I giornalisti sono sempre responsabili – anche dal punto di vista penale – di quello che scrivono o diffondono. Perché invece si è consolidato il fenomeno secondo il quale chiunque, dietro una tastiera si sente legittimato a scrivere qualsiasi cosa? Potrebbe funzionare una normativa a riguardo?
“Esiste già una normativa riguardante una serie di reati che contemplano questo tipo di comportamenti. Purtroppo nella popolazione c’è un livello di disagio psicologico altissimo ed aveva ragione Umberto Eco a definire la gran parte di coloro che usano questi strumenti una “legione di imbecilli”. Il presupposto di avere una platea, seppur virtuale, per alcune persone chiaramente disturbate è un input. Si tratta di persone che non hanno nulla da dire se non inveire in maniera violenta contro il prossimo facendo emergere il loro “mondo interno”, il loro lato peggiore che nella vita reale non manifestano perché ci vuole un certo “coraggio” anche per guardare in faccia qualcuno ed offenderlo, e questo tipo di persone non ha nemmeno quello. Ma con una tastiera tutto è più facile, soprattutto perché molti sono convinti di essere impunibili dato che si nascondono dietro falsi profili. Qui si sbagliano, perché esiste già una normativa, ampliamente applicata, che prevede reati che vanno dalla diffamazione allo stalking.”

Cosa consiglia ai genitori? Come educare al web e ai suoi possibili rischi?
“Bisogna che i genitori si informino e siano più attivi nel confrontarsi con questo tipo di scenari. Ad oggi, facendo molta attività di sensibilizzazione nelle scuole, mi sono resa conto che effettivamente i genitori sono latitanti, non solo su questi temi ma soprattutto su questi temi: non si informano, non seguono i figli durante la navigazione, non danno nemmeno norme di comportamento online, neanche banali norme di autotutela, quindi questi ragazzini vivono una sostanziale solitudine quando affrontano la loro “vita online” sui social media. Ai genitori posso solo consigliare di fare i genitori e di stare vicino ai propri figli, di spiegare che esistono persone cattive non solo nel mondo reale ma anche nel mondo virtuale, e che quando accadono cose di un certo tipo devono essere segnalate subito.”

Sicuramente in anni di esperienza di situazioni particolari deve averne analizzate e seguite molte. Qual è il caso rimasto più impresso e perché?
“Non c’è una classifica. Da vent’anni mi occupo di delitti ed ogni caso ha comportato il massimo impegno, anche i casi meno noti dal punto di vista mediatico si sono rivelati molto complessi, a volte più complessi di quelli che hanno raggiunto la ribalta. Sono state tutte vicende che mi hanno profondamente segnato e mi hanno insegnato tanto, senz’altro a fare questo lavoro al meglio delle mie possibilità, ma i delitti che ancora oggi suscitano quantomeno in una fase iniziale una risposta emotiva – che viene gestita immediatamente – sono quelli che riguardano i bambini, anche molto piccoli, e che impongono maggior fatica nel diventare oggettivi e concentrati solo sull’analisi delle informazioni.”

È vero che per chiunque il confine tra il bene e il male è labile o il seme del male trova terreno fertile solo in personalità particolari?
“La specie umana è profondamente violenta e la maggior parte delle persone che hanno commesso delitti brutali mai avrebbe pensato di commetterli, poi è arrivata la “giusta spinta” ovvero lo scenario in cui quel tipo di progetto è diventato realtà. Siamo tutti potenziali vittime ma siamo anche potenziali carnefici; ciascuno di noi è in grado di commettere atti brutali, dipende dal tipo di accadimenti a cui veniamo sottoposti e da cui veniamo sollecitati, dalle condizioni in cui ci troviamo e dai vantaggi che potremmo ottenere. Poi ci sono personalità che hanno una maggiore propensione a reagire violentemente – perché tollerano in maniera scarsa la frustrazione – e ci sono personalità più controllate, ma molto dipende dal “grilletto interiore” che scatta, quindi nessuno può chiamarsi completamente fuori da questo genere di possibilità.”

 

 

Fonte: italianinelmondo.com